Intervista a Stefano Cavaglià, seconda parte: C.A.A.T., solidarietà e mercati a Torino

Intervista a Stefano Cavaglià, seconda parte: la vita nel C.A.A.T. e le iniziative di solidarietà

03 Dicembre 2020

Fiere ed eventi

Continuiamo con la pubblicazione dell'intervista al Dottor Cavaglià, presidente A.P.G.O., per approfondire alcuni aspetti della vita nel C.A.A.T., il centro di riferimento per i mercati di Torino, e le iniziative di solidarietà che porta avanti da anni. Se te la sei persa, clicca qui per leggere la prima parte dell’intervista.

 

AP: Presidente, immagino che la maggior parte delle attività di vendita avvengano di notte e che il centro sia attivo proprio nel momento in cui il resto della città dorme. Come vi organizzate, è necessario sempre venire fisicamente o ormai molti ordini destinati ai mercati di Torino avvengono via mail o comunque online?

SC: Si, è vero, la notte il centro è attivo e la vita ferve. Molti nostri clienti passano tramite un ordine, là dove c'è una fidelizzazione e un’abitudine. Ma su molti articoli non è possibile ed è necessario recarsi di persona. Un esempio: chi acquista Golden Melinda prezzatura 80-85, che è il calibro della mela standard, non ha bisogno di venire a vederlo: lo ordina online e quando arriva lo trova già pronto o gli viene consegnato direttamente nel punto vendita. Oppure nei giorni in cui c'è una scarsità di un prodotto, per esempio le zucchine chiare fiore, un prodotto che è soggetto a oscillazioni, per garantirsi quel prodotto anziché aspettare che apra il mercato lo si può ordinare, per assicurarsi di poterlo avere. In questo siamo un po' cambiati, ci siamo digitalizzati, e usiamo per gli ordini sia WhatsApp che le mail.

 

AP: Il vostro centro sembra una sorta di “città nella città”, di cui non tutti conoscono l’importanza.

SC: Nell'ultimo periodo si sta lavorando molto sulla comunicazione, perché banalmente ci si è resi conto che non è possibile che una realtà come la nostra sia nota solo gli addetti ai lavori e a pochi altri. Anche a livello politico, e ricordiamo che Città di Torino è tra i proprietari del centro, quando si insedia una nuova amministrazione o nuova giunta regionale, ci troviamo a dover presentare di nuovo il nostro centro alle istituzioni. Lo dovrebbero conoscere, non crede? Non è che ne faccio una colpa alla politica o a altre realtà imprenditoriali, io ne faccio una colpa sostanzialmente alla vita e al lavoro che facciamo: ci muoviamo nella notte o nelle prime ore del mattino e difficilmente abbiamo tanti contatti con altre realtà. Questo è un grande limite per la conoscenza del nostro mondo all'esterno.

Come Presidente dell’Associazione dei Grossisti sono un fervido sostenitore del passaggio all’orario diurno in un ortomercato come quello di Torino, per molte ragioni che sarebbero da approfondire in una specifica intervista sul tema. Tuttavia, mi sono reso conto durante questo mio primo mandato che è una battaglia dura in quanto sposterebbe abitudini radicate di più categorie, non solo della nostra che, mi sento di dire, sarebbe la più propensa ad un cambiamento del genere. In ogni caso penso che in futuro lo sviluppo del nostro ortomercato, così come quello dei mercati di zona, questi ultimi strettamente ancorati alle abitudini e meno inclini a dotarsi delle strutture richieste per svolgere il lavoro in modo più innovativo e vicino alle esigenze del consumatore di oggi e di domani, non potrà prescindere dal porre in essere un ragionamento serio sugli orari con tutti gli attori coinvolti e con la politica della Città Metropolitana di Torino e della Regione Piemonte.   

 

AP: Forse è anche la location così decentrata a non aiutare il contatto con la città e con i non addetti ai lavori.

SC: Certo, la location decentrata non aiuta. Prima eravamo in via Giordano Bruno, zona a Lingotto, ed eravamo nella città. Oggi siamo in un’area che strategicamente è molto valida in termini logistici ma ci siamo allontanati dalle persone e dal mondo del privato. Una volta era normale che al sabato mattina venisse la gente a far la spesa, adesso non lavoriamo più di sabato, almeno questo è stato un obiettivo che si è raggiunto. Una volta il sabato mattina era il giorno dei privati, che facevano degli acquisti importanti: forse questo ora non accadrebbe più, perché sono anche cambiate le famiglie torinesi. 

 

AP: Sicuramente una volta le famiglie erano più numerose e avevano tradizioni alimentari e culinarie diverse.

SC: Sì, c'erano tante famiglie, anche numerose, che grazie all'acquisto da noi hanno potuto tirare avanti, risparmiando un po'. Senza voler prevaricare i nostri clienti, perché ovviamente non è il nostro obiettivo vendere direttamente al consumatore, la vendita del sabato era comunque un momento importante di vicinanza con la città e i suoi abitanti.

 

AP: Chi vive il CAAT o lavora nei mercati di Torino fa una vita particolare, che assorbe molto del suo tempo e delle sue energie.

SC: Sì, c’è un attaccamento sostanzialmente forte, perché chi ha vissuto il mercato da cliente o da operatore ne viene assorbito: la sua vita è talmente piena di quel mondo, che non è più solo un lavoro, è la vita stessa. Ci si passa intorno alle 10 ore al giorno, tutti i giorni; staccarsi è difficile perché magari non si ha neanche avuto il tempo di condurre una vita a parte rispetto al lavoro.

 

AP: Anche il sonno-veglia è completamente invertito, quindi si fa anche fatica a costruire altre relazioni sociali all’infuori del centro.

SC: Sì, è difficile. Noi nel pomeriggio abbiamo bisogno un paio d’ore di sonno per riprenderci, ma in queste ore si accumulano le telefonate. Nel pomeriggio, al contrario di quello che si può pensare, gli imprenditori che operano nei mercati di Torino o comunque nel settore nella maggior parte dei casi devono lavorare. Penso alla nostra azienda di famiglia, specializzata nel prodotto piemontese: noi al pomeriggio siamo operativi nel centro di conferimento. Sostanzialmente è come se facessimo due giornate lavorative perchè al mattino abbiamo la vendita e al pomeriggio abbiamo i conferimenti. Tolti un paio di mesi all'anno, nel periodo invernale, in cui la nostra la nostra produzione orticola è molto limitata, in tutta la restante parte dell'anno abbiamo attività pomeridiane legate agli approvvigionamenti, per cui sostanzialmente non smettiamo mai.

 

AP: So che A.P.G.O., oltre a svolgere un ruolo fondamentale per i mercati di Torino, trova anche il tempo per dedicarsi a progetti di solidarietà.

SC: Questo è uno degli aspetti che più mi rende orgoglioso, perché i nostri operatori svolgono anche un'attività sociale nei confronti della collettività. Collaboriamo per esempio con Banco Alimentare e Comune di Torino, attraverso donazioni di prodotti. In primavera, in piena emergenza sanitaria, quando molti erano impossibilitati a lavorare, noi abbiamo riconosciuto la fortuna che avevamo in quel momento, e abbiamo deciso di fare qualcosa per il personale sanitario e medico che, ricorderemo, in quel momento era molto sotto stress. Abbiamo fatto quello che potevamo, mettendo insieme dei carichi di frutta che abbiamo donato a medici e infermieri; ci hanno poi restituito le foto scattate mentre consumavano in nostri prodotti nelle pause o alla fine di un turno.

Questo ci ha fatto molto piacere: l'aver potuto in qualche modo contribuire ad allietare la giornata degli operatori che stavano salvando vite. Ci sembrava il minimo che potessimo fare in quel momento.

Sempre in quel contesto è nata un’altra collaborazione che sta proseguendo ancora oggi con un'associazione di ragazzi universitari che si chiama Solidarietà Alimentare Torino. Ci è stato presentato questo progetto che ci è piaciuto, perchè andava un po' incontro a quello che erano le nostre esigenze: in quel momento il proliferare di richieste da soggetti “bisognosi” ha reso necessario trovare un operatore che si occupasse di fare da filtro tra la nostra associazione e le istituzioni del terzo settore in generale, quindi le mense caritative che ci sono all'interno della città, e tutta una serie di associazioni più piccole, come oratori, moschee, etc. Si sono occupati di quello che noi non potevamo fare, come accreditare in qualche modo i soggetti, per capire che non ci fossero dietro delle situazioni non trasparenti. Sono stati molto bravi questi ragazzi: hanno creato un'associazione fatta da persone che ci mettono anche la manualità, selezionando e distribuendo per esempio partite di merce con maturazione avanzata, molto deperibili, per cui se non le si vende il rischio è che non arrivino a lunedì. Spesso vengono donate anche merci assolutamente vendibili che l'operatore per sua scelta decide di offrire come gesto di liberalità. 

È un motivo di orgoglio poter dire che in momenti di difficoltà l’associazione c’è sempre stata per la nostra città.

 

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